Si riportano in questa sede le motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Venezia pronunciata in data 10/10/2022 e depositata in data 4/01/2023 nell'ambito della nota vicenda della Banca Popolare di Vicenza con riferimento alla responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 dell'Istituto per i reati di aggiotaggio (art. 2637 c.c.) e ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’Autorità di Vigilanza (art. 2638 c.c.).
I giudici di primo grado avevano ritenuto l'inidoneità del Modello organizzativo adottato dalla Banca sotto plurimi profili:
assenza (nel Modello del 2012) e carenza (nel Modello aggiornato nel 2014) di profilazione dei rischi specifici;
indipendenza dell’OdV (composto da soggetti incardinati gerarchicamente e sottoordinati rispetto ai soggetti su cui vigilare o comunque in conflitto di interesse e palesemente privi di qualsivoglia autonomia);
carenza di poteri ispettivi e di controllo da parte dell’OdV;
assenza di flussi informativi adeguati (la cui mancanza contribuisce a privare di adeguata piattaforma cognitiva un OdV già inadeguato per carenza di autonomia e poteri).
La Corte d'Appello, nel condividere, la decisione dei giudici di prime cure, precisa quanto segue.
Modello organizzativo adottato da BPVi
Modello adottato nel 2012: dopo il richiamo alla disciplina di settore e la individuazione delle aree di rischio, contiene indicazioni di portata assolutamente generale per prevenire la commissione dei delitti in questione, in larga parte risolvendosi nella previsione della adozione di una organizzazione interna basata sui criteri di ripartizione di competenza e di segregazione funzionale in ordine a specifiche attività, nonché di cura di adempimenti formali, ovvero nell’impartire divieti attinenti a profili marginali rispetto all’esigenza di prevenire reati in esame.
Più nel dettaglio, dall’analisi delle previsioni contenute nel modello emerge con specifico riferimento al rischio commissione dei delitti di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, l’assenza di previsioni puntuali riferibili, oltre che alle modalità di predisposizione dei bilanci (segnatamente in relazione al computo dei requisiti patrimoniali anche ai fini del patrimonio di vigilanza) e di erogazione del credito, a profili essenziali dell’operatività della Banca, sempre in relazione al pericolo di commissione dei suddetti delitti.
Ecco gli elementi carenti:
a) meccanismi di controllo delle operazioni di collocamento delle azioni dell’istituto (azioni, il cui valore, era affidato alla autodeterminazione da parte delle Banca);
b) degli impieghi ai quali erano destinati i finanziamenti concessi dall’istituto medesimo rispetto alla collocazione delle azioni;
c) del flusso di informazioni interne (es: mancava la previsione di report periodici provenienti dai settori più a rischio in relazione alle fattispecie in esame; erano assenti presidi organizzativi tali da assicurare che all’OdV potessero giungere segnalazioni con modalità tali da assicurare garanzie reali di riservatezza. L’unico canale di comunicazione previsto era costituito da un indirizzo email ed era rimasta confinata nell’ambito della mera dichiarazione di intenti, in assenza di qualsivoglia concretizzazione, la previsione del MOG secondo la quale la Banca “garantisce i segnalati da qualsiasi forma di ritorsione, discriminazione o penalizzazione e assicura in ogni caso la massima riservatezza circa la loro identità fatti salvi gli obblighi di legge e la tutela dei diritti della banca o delle persone accusate erroneamente o in mala fede”);
d) di un flusso di informazioni esterne.
In particolare si ritiene degna di nota l’assenza di puntuali prescrizioni in ordine alla verifica della fondatezza delle comunicazioni rivolte al mercato ed agli organi di vigilanza, del tutto insufficienti dovendosi ritenere le generiche previsioni del “Regolamento per la comunicazione delle notizie rilevanti price sensitive”.
Ad avviso della Corte, il rischio di abusi nel ricorso al meccanismo del capitale finanziato avrebbe imposto una specifica attenzione a tali profili e, tra essi, in particolare, a quello inerente al controllo ed alla verifica delle informazioni veicolate dalla società verso l’esterno.
Ove si consideri, infatti, che il delitto di aggiotaggio è stato efficacemente definito un “delitto di comunicazione” è proprio su tale versante, prosegue la Corte, che il Modello, e, quindi, il controllo avrebbe dovuto mostrare la propria adeguatezza.
Con specifico riferimento all’aggiotaggio informativo, invero, la predisposizione di un effettivo presidio avrebbe reso indispensabile, secondo i giudici di appello, l’attribuzione all’OdV di poteri di verifica preventiva circa la fondatezza delle notizie destinate ad essere diffuse al mercato "diversamente, nel modello adottato da BPVi nessuna efficace verifica risulta prevista sul fronte delle comunicazioni “esterne” (ivi compresi i comunicati stampa) ad opera di un organismo di vigilanza interno che fosse effettivamente munito dei reali requisiti di autonomia. In particolare, in materia di rapporti con le autorità di vigilanza (e, più in generale, con l’esterno), a parte il generico riferimento ai doveri di collaborazione e di trasparenza nei confronti degli esponenti di dette autorità, le uniche disposizioni puntuali che è dato rinvenire nel modello attengono al divieto di effettuare/ricevere regali ed omaggi.
Per contro, non solo non risulta contemplata possibilità alcuna di espressione di una sorte di “dissenting opinion” sul “prodotto finito tale da “mettere in allarme i destinatari”, siano essi le autorità di vigilanza, ovvero il pubblico; ma neppure consta che tali comunicazione venissero previamente comunicate all’OdV per una preliminare valutazione o, comunque, per l’opportuna conoscenza"
(Ecco che torna anche in questa decisione, la tesi, non condivisibile, di un OdV con poteri molto più stringenti, se non addirittura impeditivi).
Inoltre, prosegue la sentenza, non erano previsti controlli a sorpresa nei confronti delle attività aziendali sensibili.
Tali carenze sono state ritenute sussistere anche nelle versioni successive del Modello.
Organismo di Vigilanza
Il MOG di BPVi introduceva un OdV privo di autonomia effettiva rispetto alla direzione societaria, donde un ulteriore, decisivo profilo di inadeguatezza di tale strumento organizzativo.
Nello specifico la direzione dell’OdV era affidata (MOG 2012) al “Responsabile pro tempore della Direzione Internal Audit", affiancato “da due soggetti esterni che non abbiano alcun rapporto di lavoro dipendente con il Gruppo BPVi” (nel caso di specie, due avvocati). Era previsto inoltre che il Presidente dell'OdV non rivestisse “cariche sociali nelle società del gruppo medesimo”.
Sul punto il Tribunale aveva specificamente osservato che tutti i componenti dell'OdV erano privi della necessaria indipendenza:
il Presidente, Responsabile della Direzione Internal Audit, in quanto dipendente gerarchicamente dal Direttore Generale e funzionalmente dal CdA, ovvero sia proprio dai poteri che avrebbe dovuto controllare;
i due componenti esterni, in quanto soggetti che avevano ricevuto retribuzioni da società rincondicibili a BPVi, con conseguente sussistenza di elementi oggettivamente tali da minarne l’autonomia di giudizio.
Significativa di tale legame tra OdV e vertici aziendali era la circostanza costituita dal fatto che la relazione sulle attività svolte dall’OdV era effettuata, in sede di CdA, proprio dal Direttore Generale.
Ancora, "un'ulteriore conferma dell’inadeguatezza del Modello con riferimento all’effettiva indipendenza ed ai poteri dell’OdV la si ricava sul piano logico, per un verso, dalla durata della condotta illecita (protrattasi per alcuni anni) e dal numero elevato di soggetti coinvolti; e, per altro verso, dalla condotta tenuta dal B., il quale sebbene a conoscenza del fenomeno del capitale finanziato sin dal 2012, aveva sostanzialmente ignorato tale circostanza, non facendola mai oggetto di verifica, ovvero di approfondimento, ovvero anche anche di semplice discussione all’interno dell’OdV. È stato lo stesso B. a descrivere l’attività svolta dall’OdV in termini sostanzialmente minimali soggiungendo di non avere riferito in tal senso nel corso dell’ispezione del 2015 perché intimidito e condizionato dal DG".
Anche i verbali delle riunioni dell’OdV costituiscono espressione di un Organismo che interpretava il proprio ruolo in modo meramente formale, posto che non offrono la benchè minima contezza di alcuna programmazione delle attività di verifica, né evidenziano che fossero state rilevate criticità, neppure in relazione ai casi più eclatanti.
Inoltre nessuna concreta garanzia di riservatezza delle comunicazioni da inviare all’OdV era assicurata, al di là delle generiche affermazioni in tale senso.
D’altronde, a tale Organismo non risultava essere giunta alcuna segnalazione in ordine a questioni problematiche e rilevanti nonostante le numerose lamentele dei dipendenti per le continue pressioni sulla rete per la negoziazione di azioni, pressioni delle quali persino i sindacati si erano occupati.
Tale situazione non risultava migliorata nemmeno quando la funzione di vigilanza era stata attribuita al Collegio Sindacale.
Anche questo organismo, difettava di reale indipendenza, in quanto costituito secondo logiche di cooptazione e composto da sindaci alcuni dei quali avevano importanti interessenza con il Presidente "Il Sindaco Z., il quale, di lì a poco, avrebbe assunto le funzioni presidente dell’OdV, aveva partecipato all’Assemblea dei soci del 26.04.2014, Assemblea in occasione della quale il Socio D. aveva denunziato il fenomeno delle operazioni correlate; nondimeno, una volta assunta la direzione dell’OdV, non aveva ritenuto di avviare, in proposito, alcuna attività di serio approfondimento, analogamente, del resto, alla condotta che avrebbe tenuto successivamente alla seduta del CdA del 4.11.2014 nel quale si era discusso l’articolo del Sole24ore".
L’istruttoria dibattimentale ha restituito l’immagine di una “osmosi” di fatto pressochè completa tra l’OdV ed i vertici aziendali, tanto da rendere del tutto impalpabili i margini di autonomia ed effettività dell’attività di controllo svolta da tale organismo.
Di qui la conclusione circa l’inadeguatezza, anche sul punto, del modello organizzativo adottato da BPVi, sia sotto il profilo astratto, sia – ed a fortiori – ove doverosamene “calato” nella concretezza della struttura societaria in esame.
Quanto al fatto che il modello adottato dall’Istituto di credito abbia seguito lo schema predisposto da ABI, la Corte precisa che "nessun rinvio per relationem a schemi predisposti dalle associazioni di categoria (e ancor meno, quindi, a presunte “best practices”, nella specie, peraltro, neppure evocate) possa ritenersi operato dalla previsione ex art. 6 comma 3 D.Lgs. 231/2001, là dove pure è previsto che i modelli possano (e non debbano) essere adottati sulla scorta di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative del settore, spettando al Giudice, la verifica dell’adeguatezza del modello una volta doverosamente calato nella realtà aziendale nella quale è destinato a trovare attuazione".
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